domenica 26 febbraio 2017

Domenica 26 febbraio: Paesi fantasma, Alta Val Borbera (AL)

Vegni - Casoni - Ferrazza - Reneuzzi e ritorno

Lunghezza 10 Km c.a.

6 partecipanti, giornata primaverile


Vegni





San Fermo


Il sentiero per ipovedenti




L'Antola





L'arrivo a Casoni di Vegni










Ferrazza






Reneuzzi

Storia












L'Antola, Croso e Campassi

Case Campassi



Qui le foto di Maristella Repetti


Una tragedia di casa nostra

Reneuzzi è un paese abbandonato nell’appennino piemontese, in provincia di Alessandria. Situato ad oltre mille metri sul livello del mare, Reneuzzi è probabilmente uno dei paesi più isolati dell’intera penisola: non è collegato ad altri paesi tramite strade carrabili e l’unico modo per accedervi è un sentiero che da Vegni, situato ad un’ora di auto da Novi Ligure, porta al paese di Reneuzzi dopo due ore di cammino. Senza acqua corrente né elettricità, è inutile dire che il paese non è più abitato: dal 1961 qui non vi è più anima viva. Ora, questa storia è comune ad altri borghi montani e non ci sarebbe altro da analizzare se non il malinconico e inevitabile abbandono della montagna. Ma qui c’è qualcosa di diverso. Il paese non muore da solo, agonizzando lentamente tra partenze e vecchiaie. No, questa volta si porta con sé due vite e una storia d’amore e follia. Chi giunge a Reneuzzi viene presto incuriosito dal piccolissimo cimitero della frazione. In un recinto di cinque metri per tre, si trovano una dozzina di tombe ormai illeggibili, la cui datazione va dall’inizio del XX secolo al 1954. Poi, vi è una tomba meglio conservata di altre. Ha una bizzarra forma a casetta e appare sproporzionata rispetto alle dimensioni del cimitero. In basso c’è una lapide con una scritta: "Bellomo Davide, 12-5-1930 22-9-1961, papà e mamma dolenti". E’ l’ultimo abitante, morto a 31 anni. Siamo nel 1961, l’Italia corre verso il boom economico, le città brulicano di vita e nuovi quartieri spuntano ovunque, là dove prima c’era la campagna. Per un’Italia che cresce, un’altra arranca. La montagna si spopola e invecchia: gli anziani e i pochissimi giovani rimasti salutano ogni giorno qualcuno che se ne va, le porte si chiudono e nella maggior parte dei casi non verranno mai riaperte. Sono anni spietati per i paesi isolati, le curve demografiche precipitano. Reneuzzi paga una situazione anche peggiore di altri centri. Niente acqua, niente elettricità, niente terra e pochi pascoli. Mentre Milano esplode di luce, duecento chilometri più a sud c’è ancora chi vive senza lampadina e rubinetto. Estremi di un paese in fase di modernizzazione incompleta. A Reneuzzi se ne sono andati quasi tutti già nel primo dopoguerra. In quell’estate del 1961, nel paese non è rimasto che Davide Bellomo. Davide è fidanzato con Maria Franco (detta Mariuccia), ventenne di Ferrazza, paesino non lontano da Reneuzzi e in uguali condizioni di isolamento e conseguente spopolamento (oggi è anch’esso disabitato da molti anni). E’ una storia tormentata: i due sono cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, non vede di buon occhio la coppia. Un giorno di settembre, Maria comunica a Davide che se ne andrà con la famiglia in un paese del genovese, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Davide non ci sta. Ha visto partire tutti gli amici di infanzia, morire gli anziani. E' rimasto solo, senza sapere dove andare. Non conosce il mondo al di fuori della sua montagna. Da un articolo dell’epoca si legge: “La ragazza, che in un primo tempo sembrò corrisponderlo, aveva poi respinto l’innamorato. Gli stessi genitori di lei erano contrari alla relazione, considerando gli stretti legami di parentela fra i due giovani. Il contadino non aveva saputo mai darsi pace e quando apprese che la famiglia della ragazza si sarebbe trasferita era passato alle minacce: ‘se parti, piuttosto ti sparo’ le disse un giorno. Così la mattina del 22 settembre scorso [1961] mentre la famiglia di Maria transitava, attese la ragazza che procedeva distanziata dai genitori. Nascosto dietro un cespuglio, quando Maria gli passò a pochi metri sparò due colpi con una vecchia rivoltella, un ricordo che il padre aveva portato dall’America. I colpi raggiunsero di striscio alla nuca la ragazza che trovò ancora la forza di fuggire per circa duecento metri, rifugiandosi in una baita in località. Il delitto venne scoperto due ore dopo e più nessuno vide l’assassino.” “Ieri [16 ottobre] un contadino di Reneuzzi ha scoperto il cadavere di Davide Bellomo. Il contadino quasi quotidianamente si reca col suo cavallo da Reneuzzi a Vegni e da due giorni notava che transitando in un tratto di sentiero incassato fra la roccia l’animale scalpitava e nitriva. Ieri pomeriggio, attratto anche da uno sgradevole odore, volle vederci chiaro e compì una battuta nella zona. Ad una cinquantina di metri dalla mulattiera, dietro un cespuglio, scoprì il cadavere che giaceva supino; la rivoltella era a poca distanza dalla mano destra. Oggi il cadavere è stato trasportato al cimitero di Vegni, dove domattina si recherà accompagnato da un medico, il Pretore di Serravalle Scrivia per le constatazioni di legge. È fuor di dubbio che il giovane si sia sparato con la stessa arma usata per uccidere Maria, e con ogni probabilità ha posto fine ai suoi giorni poco dopo il delitto, sconvolto forse dal suo folle gesto.” Sei è il numero di colpi confermati dalla perizia necroscopica, avvenuti in località Arvecchia. Altre fonti parlano di colpi di roncola, anche se la fonte più attendibile è l’articolo citato, tratto da La Stampa del 17 ottobre 1961, nella parte della cronaca del Basso Piemonte. Nei giorni successivi il delitto, sembra che l’ombra dell’omicida abbia continuato a terrorizzare gli ultimi abitanti di Ferrazza (perché a Reneuzzi non era rimasto più nessuno), invitandoli a lasciare quel luogo maledetto. E così, con il suo suicidio, Davide conclude anche la storia di Reneuzzi. La famiglia di Maria se ne andrà da Ferrazza e anche quest’ultimo paese saluterà la civiltà. Mariuccia verrà sepolta nel cimitero di Casella, a Genova. Di Reneuzzi parla il libro Sono partiti tutti di Giovanna Meriana e il documentario Case abbandonate di Alessandro Scillitani e Mirella Gazzotti. E’ una storia di isolamento sociale, di disagio psichico e imbruttimento dovuto all’abbandono e, forse, all’ignoranza. E’ la storia di Davide e Maria, nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Se fossero nati cento anni prima, la loro vita non sarebbe stata meno grama, ma avrebbero comunque vissuto una realtà diversa. Invece nacquero alla fine di un’era e furono travolti dal cambiamento. Altrove si iniziava a vivere bene, a circondarsi di agi e sorridere alla vita. Sulle montagne della val Borbera si subiva invece lo stato depressivo causato dalla fine di una civiltà. Chi visse quegli anni in quei posti, che la storia stava tagliando come una spesa inutile, dovette abbandonare quella vita o rimanerne imprigionato. Ma quel mondo non va dimenticato. Dimenticarlo significherebbe impoverire la nostra vita. Molti di noi discendono probabilmente da persone che vissero in luoghi come Reneuzzi, uomini e donne che se ne andarono in cerca di una vita migliore. Dimenticare quella storia è dimenticare la loro storia. La nostra. Quando un paese viene lasciato a morire, trascina con sé la storia degli uomini e delle donne che vi vissero. Le case crollano, ma non è il peso della storia a sfondare i tetti. E’ la dimenticanza.

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